Villa Palagonia
E’ certamente la villa più famosa e originale di Bagheria. Molto è stato detto su questa struttura settecentesca, eppure, non tutti i veli sono stati alzati, lasciando tanto mistero e fascino.
La villa venne realizzata da Francesco Ferdinando Gravina I° nel 1712. Era una struttura maestosa ed imponete, bella ma una delle tante ville di Bagheria. Chi la rese celebre ed unica, fu il nipote, Francesco Ferdinando Gravina Junior, che subentra al padre Ignazio Sebastiano che a sua volta era subentrato al fondatore nel 1736. Ignazio Sebastiano abita la villa per appena 9 anni, prima di morire.
Chi invece abita la villa per un periodo lungo è il nipote, Francesco Ferdinando Gravina Junior. Dal 1746 al 1788 (anno in cui muore all’età di 66 anni) appone delle modifiche sostanziali e in alcuni casi radicali. Francesco Ferdinando Junior, cambia la faccia della villa.
Mette in pratica un concetto che per i tempi è rivoluzionario. Cerca in tutti i modi di far capire che non bisogna tendere all’esteriorità ma al bello interiore. E’ questo certamente un messaggio banale per i nostri giorni ma che per quei tempi rappresentava una rivoluzione autentica. Il 700 è il periodo in cui si tende con esasperazione estrema all’esteriorità. Le donne, per esempio, non lavano i capelli ma in compenso si adornano con parrucche voluminose e si incipriano abbondantemente per nascondere cattivi odori.
Ferdinando Gravina, cerca di sovvertire questo modo di pensare e lo fa attraverso dei segni che vengono disseminati lungo tutta la villa. Il Gravina ha forse il torto (o il pregio ?) di non spiegare nulla di ciò che fa. Per lui parla la villa. E’ evidente che nessuno lo capisce e che con molta banalità viene definito pazzo per le sue “follie” e “stravaganze”.
Fa realizzare numerose opere, ma quelle che per importanza ed originalità passano alla storia, sono alcune statue che colloca lungo le due mura del viale d’ingresso e sopra le due esedre che circondano il palazzo e che tutti chiamano “mostri”.
I mostri non sono altro che un feroce critica e ironia nei confronti degli aristocratici del tempo, ma “raccontano” anche dei miti classici oltre a tramandare le immagini dei musicisti del tempo.
Del viale non è rimasto nulla, mentre le statue delle esedre, fortunatamente sono ancora al loro posto, nonostante il tempo e l’incuria le abbiano rosicchiati, danneggiandole.
Francesco Ferdinando Gravina Junior, realizzò un lungo viale (circa 400 metri) che dall’arco del Padre Eterno conduceva fino alla villa. Il Padre Eterno (chiamato così perché dentro si trovava la statua del padre divino), venne realizzato in tufo, con all’esterno sette statue rappresentanti dei gendarmi ussari.
Il padre Eterno, però, non era l’ingresso principale, visto che 190 metri prima, c’era un altro ingresso, con tre arcate, comunemente chiamato “L’arco dei tre portoni”. Di questo ingresso non è rimasto nulla, se non il toponimo comune (modo di dire) della gente del luogo.
Nel 1.700 decine di viaggiatori arrivarono a Bagheria per vedere da vicino la celebre “villa dei mostri”.
Per molti la visita alla “Bagaria” era una moda e nessuno cercava di capire cosa ci fosse “oltre” quello che appariva a prima vista.
Purtroppo dell’assetto originale della villa poco o nulla è resistito al tempo e all’incuria dell’uomo che appena morto il Gravina, smantella tutto ciò che ha creato.
Della villa originaria restano i racconti dei numerosi viaggiatori.
Il viaggiatore più famoso è Wolfang Goethe che arriva nella villa il 9 Aprile del 1787, giorno di pasquetta e un anno prima che il Principe muore.
Goethe usa parole terribile per descrivere la villa. “Per tutta la giornata ci siamo occupati con le pazzie del principe di Palagonia” scrive il letterato tedesco. Goethe ha una giustificazione”, avendo egli un’educazione classica. Arriva in Sicilia soprattutto per ammirare i resti degli antichi greci (Agrigento, Selinunte, Segesta). Il suo impatto con le “follie” della villa Palagonia è quindi traumatico.
“L’attuale proprietario -scrive- ha sciolto ogni freno al suo gusto e alla sua passione per il deforme e il mostruoso: gli si renderebbe onore troppo grande se gli attribuissi anche soltanto una scintilla di fantasia”.
Goethe parla malissimo della villa e peggio del suo costruttore. Senza ammetterlo a se stesso, però, ne rimane affascinato. Basti pensare che su Monreale scrive appena un paio di righe mentre a Villa Palagonia dedica ben sei pagine. Conia inoltre un termine che usa spesso durante il suo viaggio in Sicilia “palagoniano”.
Come Goethe altri viaggiatori che visitano la villa ne rimangono sconvolti e nello stesso tempo affascinati.
La villa viene acquistata nel 1872 dai fratelli Castronovo, per 60 mila lire, che la rilevano da un curatore, dopo che la stessa venne donata prima di morire dall’ultimo dei Palagonia all’Ospedale Civico di Palermo.
Tornando alla villa, va detto che la sala più interessante è il salone degli specchi. Ferdinando Gravina fa collocare sul soffitto degli specchi, con angolature particolari. Chi entrava vedeva la sua immagine riflessa una volta, subito dopo l’immagine si moltiplicava anche negli altri specchi. Nello specchio successivo, l’immagine di colpo svaniva. Anche in questo caso, il principe, a modo suo, voleva trasmettere il suo concetto sulla vita e la morte e soprattutto sulla fragilità umana. Un concetto che viene spigato anche in una scritta che si trova sopra la porta d’ingresso della sala degli specchi “Specchiati in quei cristalli, e nell’istessa magnificenza singolar, contempla di fralezza mortal l’immago espressa”.
Francesco Ferdinando Gravina Junior ha lasciato una villa “da leggere”.
Della follia o del suo genio, rimangono una ottantina di statue lungo le esedre che circondano la villa che la rendono unica e originale.