Pellegrinaggio a Santa Rosalia
_____
Quest’oggi diciannove di settembre
lo volli dedicare a quella Santuzza
che senza domandargli mai niente
alleggerisce i pesi alle mie braccia.
Mi incammino questa domenica mattina
per fare anche questanno “la salita”
questa volta la mia sola compagnia
è un ombrello
e tanta devozione per Santa Rosalia.
Mentre i miei piedi cominciano ad afferrare
pezzi di salita lucida e ciottolata
mi passa per la mente quante genti
a cominciare dal poveretto
e per finire a teste incoronate
hanno pestato le stesse pietre bianche
dov’è che io ora metto le pedate.
Ne vedo di tutte le razze fare il viaggio
Neri e Gialli con la stella in fronte
perfino a loro tu desti coraggio
e fanno di “Pellegrino” il loro monte.
A fianco di lato a lato della strada
si vedono passare sgangherati
verso sotto piante di fichidindia
per patimento d’acqua rinsecchiti.
Vecchi di mille anni, le braccia a penzoloni
eppure fra le braccia tengon stretta
una povera àgave sfortunata
che la sola colpa che ebbe alla fin fine
fu il fatto di esser nata in mezzo a loro
compagni provocanti e prepotenti
piano piano la pungono nei fianchi
e aspettano la sua fine i fetenti.
Lei capisce che la sua vita è breve
e orgogliosa a essi volle fare
l’ultima soverchieria
prima che muoia boccheggiando.
Con lo stendardo alzato che è il suo fiore
dopo una vita d’inghiottire soprusi
gli sferra soddisfatta un ceffone
che dopo tanto tempo di sopportare
almeno visse un giorno da leone.
Un anzianotto di una settantina d’anni
che tiene in mano un ciuffetto di ampelodesmo
lo vedo concentrato che scrolla
vento alle spalle e di fronte alla pianta di ficodindia in piedi
le spine di un ficodindia maturo.
Il suo pensiero io gli leggo in viso
“Per ora t’accarezzo con pazienza
ma dopo vai a finir nella mia pancia!!”
Più sopra a metà strada dall’arrivo
un capitello di pietra di tufo
messo li sotto all’ombra accovacciato
aspetta che ogni viandante vi si sieda
desideroso d’un poco di compagnia
e di raccontare a chi glie lo domanda
l’antica provenienza della casata
dov’era collocato per bellezza.
“Come sei arrivato qua?”
gli domando impertinente!
Ma lui non mi risponde per vergogna
per come la mano dell’uomo lo ridusse
buttato come una cosa di poco conto
in mezzo alla sporcizia.
Le nuvole si rincorrono arrabbiate
e ogni tanto qualche goccia cade
e fa diventare melmoso il ciottolato sotto il passo
facendo perdere la presa al piede.
Rumore di passi e di punta dell’ombrello
è la sola musica che l’orecchio sente
ora che gli uccelli si sono rintanati
per la pioggia che può arrivare all’improvviso.
La devozione di una vecchietta
che paga la promessa fatta a te
mi fa vergognare davanti la grotta.
A carponi tutta inzuppata
con le ginocchia e le mani insanguinate
sale con le ginocchia la scalinata
che solo così tutte due pareggiate il conto.
Arrivo finalmente a casa tua
ti vedo incastonata in una nicchia
scavata piano dalla mano dell’acqua
che insieme al tempo “suo compare”
dono d’amore te ne volle fare.
Sopra le teste è di latta il canalato
che parte dal tetto fino a sotto
porgendosi con delicatezza
gocce di lacrime di pugnali di grotta.
Lacrime di un mondo fatto di bombe e guerre
sangue che esce da carni di innocenti
che per gli interressi di quattro potenti
vengono scannati senza colpa alcuna.
Santuzza Rosalia tu ci guardi
pensaci tu snodala questa matassa
fai finire queste atrocità
falle asciugare tu le nostre pupille.
I fazzoletti sono inzuppati di pianto
di madri distrutte dal dolore
un altro miracolo mettilo nel mio conto
perchè la Peste ora la chiamano “Terrorismo”.
Vincenzo Aiello
Bagheria;11/11/2004